XV biennale donna a Ferrara: Violence.

di rossella

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Ho visitato questa mostra la scorsa domenica, durante il suo ultimo giorno di esposizione. Mi sono sentita molto vicina a tutte le artiste, anch’io intimamente raggiunta dalla violenza che vedo intorno a me e alla quale noi donne risultiamo a volte più esposte, sicuramente più sensibili. La violenza a volte è evidente, spesso invece è sottile e dunque difficile da riconoscere e contestare. Una mostra di questo genere si rivela allora non solo profonda ma persino importante, perché fa spalancare gli occhi, permettendo la diffusione di una consapevolezza più intensa su questo tema.

L’esposizione si snodava su due piani, in quattro piccole stanze e due spazi più estesi, che accoglievano delle installazioni. Si penserà ad un ambiente esiguo per una mostra Biennale, ma in realtà non poteva e non doveva essere più grande, perché i lavori contenuti all’interno erano intrisi di vita e sangue, troppo  forti per essere in maggior numero di quelli selezionati. Nel dispiegarsi della mostra, non c’erano inoltre dei momenti di pausa: la violenza veniva raccontata di stanza in stanza, senza interruzioni, senza nessuna alternanza con qualche ipotesi di ricostruzione, di positivo cambiamento. Quasi a suggerire che prima bisogna vedere con chiarezza, con questi occhi spalancati, il buio opprimente, per poterlo solo successivamente inondare di luce salvifica. Sono stata felice alla fine,  raggiunta l’uscita, di trovare ad aspettarmi un bel parco luminoso, perché la necessaria angoscia, visione dopo visione, era cresciuta dentro di me. Soprattutto nella stanza dell’olandese Lydia Schouten, che era illuminata da un’innaturale luce verde fluo ed accoglieva opere di diversa fattura, unite nel riprodurre per gli occhi del visitatore omicidi ed altri atti di violenza commessi nella città di New York, avvenuti proprio durante una breve permanenza della stessa artista. Dai collage di foto, ai video sul pavimento e su delle poltrone dello stesso colore della stanza, a un trittico di piccoli quadri, tutto rendeva perfettamente l’inquietudine evocata da questi crimini.

Lydia Schouten

Lydia Schouten

Lydia Schouten

È stata l’ultima stanza dove sono entrata, quella la cui atmosfera mi è rimasta più impressa, per l’esatta sensazione di disperazione ed ansia che è riuscita a trasmettermi.

Un altro lavoro che ho trovato efficace è stato quello di Yoko Ono. Si trattava di un video che aveva realizzato in giovane età,  sedendosi su un palco ed invitando gli spettatori del pubblico ad andare a tagliarle i vestiti; questo video è stato messo a confronto con uno realizzato allo stesso modo, ma più di recente. In un altro mondo forse nessuno, chiamato a fare una cosa del genere, avrebbe accettato; in questo Yoko è stata raggiunta da diverse persone (sia uomini che donne), intrigate e divertite. Lei subiva in silenzio le loro azioni, non sorrideva: non era un gioco ma un esperimento molto serio, che le causava tristezza ed imbarazzo, visibili in uno sguardo immobile, che avrebbe dovuto fermare le persone intorno a lei; le stesse che invece, sentendosi autorizzate dal suo stesso invito, continuavano a tagliarle i vestiti con compiacimento. Ho notato che molti visitatori della mostra riuscivano a guardare appena un minuto del filmato, poi si spostavano altrove. Non era in effetti né bello né rilassante da vedere; era però interessante osservare gli atteggiamenti di tutta la gente che si avvicinava a Yoko. Sono rimasta molto colpita dal modo di fare di una coppia di ragazzi sui vent’anni: lei si è arrivata sul palco ridendo, ha tagliato un pezzo della gonna di Yoko, quasi emozionata per il gesto che le veniva concesso di compiere. Il suo lui nel frattempo la guardava, aspettando in un angolo, finché lei, conquistato il piccolo trofeo di stoffa, glielo affidava; lui a sua volta lo tagliava in due, tenendo una parte per sé e riconsegnandone un’altra alla sua lei. Dopodiché scendevano entrambi dal palco, felici, mano nella mano. Guardando insieme i due video, si vedeva che la Yono adulta, rispetto alla Yoko giovane, veniva “rispettata” di più da chi andava a tagliarle i vestiti, nel senso che la maggior parte delle persone cercava di non farla rimanere subito senza come nel primo video, magari eliminando dei pezzi piccolissimi degli abiti.

Un’altra cosa che mi ha impressionato tanto è stata l’installazione di sculture-armature, posta proprio all’entrata della mostra. Trasmetteva una bellezza fredda, sur-reale eppure no, molto concreta, quasi quotidiana…

Naiza Khan

Davvero molte donne nel mondo, ogni giorno, si coprono così?  E indossare un’armatura che sembra quasi un tutt’uno con i nostri vestiti, è una scelta o, in alcuni casi, una necessità?

Naiza Khan

Un’armatura che può difenderci e prepararci alla lotta, ma che è anche pesante da portare. L’artista Naiza Khan, pakistana, ha creato queste sculture partendo dalla situazione che osservava all’interno della sua nazione: perché allora le ho sentite così vicine a me e a tutte le donne che conosco?

Molto toccante anche l’installazione Floor, realizzata sul posto, appositamente per la Biennale Donna. Un pavimento il cui cemento soffoca vestiti strappati e bruciati, un’opera ispirata dal famoso incendio di una fabbrica di camicie a New York, dove persero la vita 146 donne (e ad ognuna di esse è dedicata una piastrella del pavimento).

Loredana Longo

Nella stanza si entrava a piedi nudi o almeno calzando un copriscarpe. L’artista è la catanese Loredana Longo, l’unica italiana della mostra.

Le altre artiste esposte: Valie Export, Regina José Gualindo, Nancy Spero.

Nancy Spero

Regina José Galindo