Scritti da Saturno

di Rossella Arena

Tag: passato

La stanza piena di luce.

Ci sono delle volte in cui, mentre viaggi dentro di te, ti ritrovi davanti alla porta di una stanza che non avevi mai visto prima. Provi un po’ di paura ma entri comunque, per entrare in contatto con tutto ciò bisogna vedere.

Il tuo cuore va in subbuglio: lì è tutto buio e ogni cosa è in disordine. Ti senti impotente e intimorito come un bambino e ti chiedi se ce la farai a mantenere la calma. Poi ricordi a te stesso che ora sei un adulto, una persona piena di forza, che ha affrontato con coraggio e impegno tutte le prove della sua vita. Ricordi a te stesso che, se sei entrato in quella stanza, è solo per liberare un’altra parte di te, per renderla visibile alla luce del presente. E allora ritrovi la determinazione e ti muovi attraverso di essa. Inizialmente sei in preda al panico, perché non vedi niente e perché non hai idea di che cosa dovrai fare. Poi ti sforzi di calmarti e decidi di sederti nel bel mezzo della stanza. Intorno a te percepisci sporcizia, cattivi odori, rumori inquietanti. Ti concentri sul battito del tuo cuore e cerchi di fare silenzio in te, di trovare in te la luce e l’energia per illuminare quel luogo. Chiami i tuoi angeli, le tue guide spirituali, Dio, tutti coloro che possono aiutarti. E dopo la giusta attesa arriva tanta luce: ogni angolo della piccola stanza inizia in questo modo ad essere visibile. Vedi ogni cosa come se appartenesse a un vecchio film, e in effetti è così.

I tuoi angeli ti proteggono e ti fanno sentire che la luce del presente curerà anche il buio del passato. Assieme alle tue guide comprendi perché sei tornato lì e quali lezioni devi ancora apprendere. Pian piano la stanza continua a riempirsi di luce: ora puoi rimetterla in ordine e/o mettere al suo interno tutto ciò che è necessario.

Hai recuperato un’altra parte di te, assieme a tutta la forza che poteva darti.

I miei occhi (3).

I miei occhi. (1)

I miei occhi. (2)

I miei occhi. (4)

Un paio di anni fa decisi di trasferirmi in Emilia, in modo da poter essere più vicina allo studio di Rovigo ed effettuare così le visite con più regolarità. Ritrovarmi a vedere doppio mi aveva messo molta tensione addosso. Mi chiedevo come avrei fatto a portare avanti tanti aspetti della mia vita quotidiana con tranquillità, se non riuscivo più a vedere bene. Ero anche un po’ provata, perché venivo da anni in cui mi ero già dovuta occupare attivamente, per altri disturbi, della mia salute. Volevo quindi un supporto costante, in modo da dedicarmi a questo problema con tutte le mie forze. Avevo capito poi che esso si era manifestato fisicamente attraverso il malessere agli occhi, ma poteva essere ricondotto alla necessità di una visione generale, sana e serena, di tutta la mia vita.

Mi affidai con molto sollievo agli esercizi e, visita dopo visita, cominciai a tranquillizzarmi, perché sentivo che mi facevano bene e che mi ero messa sulla strada giusta.

Un giorno la dottoressa mi chiese: “Se guardi nel tuo passato, in quale momento della tua vita potresti collocare il disturbo? Ed era successo qualcosa di particolare in quel periodo?”.

Non dovetti pensarci molto, perché mi veniva in mente soltanto un episodio della mia infanzia. La cosa che più mi stupisce, ripensandoci, è che quando la dott. mi fece questa domanda, il fatto si formò abbastanza chiaro nella mia mente. Non riuscivo però a parlarne: iniziai a raccontare ma mi si strozzò la voce. Mi meravigliai della mia reazione emotiva e quasi subito mi bloccai. La dottoressa mi disse che non dovevo parlarne per forza, potevo scriverne. Dovevo e volevo riaprire la porta che avevo chiuso.

door-opening

(immagine trovata su Internet, autore ignoto)

Cominciai a lavorarci su. Mi venne presto in mente che potevo strutturare quel ricordo non come un semplice racconto ma come una vera e propria sceneggiatura. Mi sembrava un sistema migliore per richiamare alla memoria l’avvenimento nel modo più obiettivo possibile, rimanendo aderente a quel che era accaduto, più che alla mia interpretazione soggettiva.

L’episodio era avvenuto in famiglia: forse l’idea della sceneggiatura arrivò anche dall’avere sperimentato in passato le costellazioni familiari (si tratta di un metodo che prevede proprio di mettere in scena un avvenimento -o un rapporto fra due o più persone-, scegliendo gli “attori” tra gli altri partecipanti: collocando ciascuno di essi nello spazio vuoto, e chiedendo ad ognuno di assumere una certa posizione o atteggiamento, si vedrà successivamente come, per lo più in silenzio, si ritrovano ad interagire fra di loro. Dal loro relazionarsi diventa presto chiaro cosa sta succedendo o è successo fra le persone rappresentate. Per maggiori info vi consiglio di leggere qui).

Giorno dopo giorno, battuta dopo battuta, mi immersi sempre più in quel ricordo, trovando il coraggio di scrivere e vedere tutto quello che era successo.

atwork

Al lavoro sulla sceneggiatura

Non fu semplice, sia perché quello che ricordavo mi faceva non poco male, sia perché, dato che dell’episodio in famiglia non se n’era fatta più menzione, nel voler fare luce su di esso mi sentivo molto sola e addirittura in colpa. Era come se nessuno stesse dalla mia parte, ma la realtà era che nemmeno io ero mai stata dalla mia parte! Mi preoccupavo di non ferire i sentimenti degli altri, ma avevo cancellato i miei. Ancora adesso faccio fatica a dare loro il giusto spazio. 

I miei occhi. (1)

I miei occhi. (2)

I miei occhi. (4)

Lettera di un ex Maestro spirituale ai suoi allievi.

Mie care anime, sono qui, sto pregando per voi. Come state? Mi sento ancora responsabile del vostro benessere interiore. Qui sono  in isolamento e sto riflettendo molto sul  mio passato, sul nostro passato. Mi dispiace se ho detto e fatto delle cose che vi hanno ferito e hanno in qualche modo reso più arduo il percorso di auto-conoscenza a cui vi eravate accostati con tanto entusiasmo. Non temete, perché siete voi stessi il vostro percorso. Anche se quando vi parlavo vi ho insegnato il contrario, che da soli non potevate andare da nessuna parte, adesso invece vi annuncio che non potrete mai perdervi, in alcun modo. Ovunque la vita vi porterà, quella sarà la vostra strada.

Perché oso scrivervi? Provo pena per le mie azioni e ho bisogno di dirvi delle cose importanti. Tutte le volte che mi sono arrabbiato con voi, perché non eseguivate i miei ordini, tutte le volte che ho urlato o ho schernito la vostra debolezza, cercando di farvi sentire minuscoli… be’ ero io quello minuscolo, più piccolo di una mosca. E me la prendevo con voi perché questa mia piccolezza non volevo assolutamente vederla. Probabilmente non ero degno di farvi da guida: forse però le nostre strade si dovevano unire per un po’ di tempo, forse sono riuscito ugualmente ad insegnarvi qualcosa. O forse eravate voi destinati ad insegnarla a me.

Molti fra voi continuano ancora a cercarmi. Ma io non posso, né voglio, essere più il vostro Maestro. Sono un uomo come voi anime mie, spesso sono stato anche peggiore di voi. Ciascuno di voi non è meno illuminato di me. Forse io mi ricordo più spesso di guardare verso la Luce, ma soltanto perché nel mio buio ne sento disperatamente la mancanza. Questo sì, me lo riconosco. Non c’è giorno in cui io non mi ricordi della Luce. Ma finalmente non brilla più unicamente il mio sguardo, anche il mio cuore risplende. Quando guardo la luna lontana, dalla mia finestra. Quando vi penso, non più con giudizio, ma con infinito amore. Non vi darò più compiti, non vi coinvolgerò più nei miei progetti, facendovi perdere di vista i vostri. Voi non siete i miei burattini, né i miei servi non retribuiti. Quando ho avuto il coraggio di aprire gli occhi sui vostri cuori, ho visto che stavate male, sempre tesi verso la prossima attività da fare, sempre con il cuore e la testa in tumulto (avrò sbagliato qualcosa? Sto crescendo spiritualmente? Riuscirò a fare questo compito? Perché il Maestro non mi considera adatto per questa attività? Come posso farmi apprezzare di più da lui?). Soltanto ora mi rendo conto che cercavo in ogni modo di farvi sentire in colpa. E poi, cosa vi raccontavo? Che il senso di colpa non esiste! Vi confondevo sempre di più. Di solito reagivate in due modi opposti: c’era chi si diceva “Ma certo, non esiste, che stupido che sono stato” e chiudeva fuori tutti i pensieri negativi, ignorandoli e concentrandosi sull’importanza della meditazione; c’era invece chi si sentiva ancora più in colpa “Non esiste? Ma io lo provo… Sono sbagliato allora”. E così le catene con cui vi tenevo legati si facevano ancora più strette.

Adesso sono qui da solo, ho bisogno di stare da solo, in silenzio. Non posso impedirvi di raggiungermi, ma non aspettatevi nessuna parola da me. Dopo questa lettera, per molto tempo tacerò: dopo tutte le stupidaggini che ho pronunciato, ho deciso di abbracciare il silenzio a lungo. Voglio impiegare ciò che mi rimane di questa vita in modo onesto e rispettoso.

Abbiate cura di voi anime mie. Vi penso sempre e prego per me e per voi.

Essence, Soul Card by Denise Linn