I miei occhi (3).

I miei occhi. (1)

I miei occhi. (2)

I miei occhi. (4)

Un paio di anni fa decisi di trasferirmi in Emilia, in modo da poter essere più vicina allo studio di Rovigo ed effettuare così le visite con più regolarità. Ritrovarmi a vedere doppio mi aveva messo molta tensione addosso. Mi chiedevo come avrei fatto a portare avanti tanti aspetti della mia vita quotidiana con tranquillità, se non riuscivo più a vedere bene. Ero anche un po’ provata, perché venivo da anni in cui mi ero già dovuta occupare attivamente, per altri disturbi, della mia salute. Volevo quindi un supporto costante, in modo da dedicarmi a questo problema con tutte le mie forze. Avevo capito poi che esso si era manifestato fisicamente attraverso il malessere agli occhi, ma poteva essere ricondotto alla necessità di una visione generale, sana e serena, di tutta la mia vita.

Mi affidai con molto sollievo agli esercizi e, visita dopo visita, cominciai a tranquillizzarmi, perché sentivo che mi facevano bene e che mi ero messa sulla strada giusta.

Un giorno la dottoressa mi chiese: “Se guardi nel tuo passato, in quale momento della tua vita potresti collocare il disturbo? Ed era successo qualcosa di particolare in quel periodo?”.

Non dovetti pensarci molto, perché mi veniva in mente soltanto un episodio della mia infanzia. La cosa che più mi stupisce, ripensandoci, è che quando la dott. mi fece questa domanda, il fatto si formò abbastanza chiaro nella mia mente. Non riuscivo però a parlarne: iniziai a raccontare ma mi si strozzò la voce. Mi meravigliai della mia reazione emotiva e quasi subito mi bloccai. La dottoressa mi disse che non dovevo parlarne per forza, potevo scriverne. Dovevo e volevo riaprire la porta che avevo chiuso.

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(immagine trovata su Internet, autore ignoto)

Cominciai a lavorarci su. Mi venne presto in mente che potevo strutturare quel ricordo non come un semplice racconto ma come una vera e propria sceneggiatura. Mi sembrava un sistema migliore per richiamare alla memoria l’avvenimento nel modo più obiettivo possibile, rimanendo aderente a quel che era accaduto, più che alla mia interpretazione soggettiva.

L’episodio era avvenuto in famiglia: forse l’idea della sceneggiatura arrivò anche dall’avere sperimentato in passato le costellazioni familiari (si tratta di un metodo che prevede proprio di mettere in scena un avvenimento -o un rapporto fra due o più persone-, scegliendo gli “attori” tra gli altri partecipanti: collocando ciascuno di essi nello spazio vuoto, e chiedendo ad ognuno di assumere una certa posizione o atteggiamento, si vedrà successivamente come, per lo più in silenzio, si ritrovano ad interagire fra di loro. Dal loro relazionarsi diventa presto chiaro cosa sta succedendo o è successo fra le persone rappresentate. Per maggiori info vi consiglio di leggere qui).

Giorno dopo giorno, battuta dopo battuta, mi immersi sempre più in quel ricordo, trovando il coraggio di scrivere e vedere tutto quello che era successo.

atwork

Al lavoro sulla sceneggiatura

Non fu semplice, sia perché quello che ricordavo mi faceva non poco male, sia perché, dato che dell’episodio in famiglia non se n’era fatta più menzione, nel voler fare luce su di esso mi sentivo molto sola e addirittura in colpa. Era come se nessuno stesse dalla mia parte, ma la realtà era che nemmeno io ero mai stata dalla mia parte! Mi preoccupavo di non ferire i sentimenti degli altri, ma avevo cancellato i miei. Ancora adesso faccio fatica a dare loro il giusto spazio. 

I miei occhi. (1)

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